La TRAMA
Raccontare la vita di un calciatore che ha vinto centinaia di partite in serie A, tre scudetti, titoli europei, Coppe internazionali, vestendo anche la maglia della Nazionale, porta spontaneamente a trascurare il lato familiare per evidenziare quello agonistico. Rino Pagotto invece è forse l’unico atleta di grande prestigio degli anni 30-40 in cui proprio questo secondo aspetto si deve considerare prevalente, anche se l’ambito sportivo resta altrettanto basilare. La sua vita infatti è stata irrimediabilmente segnata dal secondo conflitto mondiale, un avvenimento extra calcistico di gran lunga più rilevante e letale di quelli sportivi. Accadimento tragico, che lo ha travolto, anche se al termine di quasi tre anni terribili è uscito vivo dai campi di concentramento proprio grazie al calcio che in precedenza lo aveva proiettato ai massimi livelli mondiali.Lavori forzati e calcio, campi di sterminio e stadi famosi, angoscianti tragitti sui carri bestiame blindati e trasferte in ogni parte del mondo con aerei e navi da sogno, baracche dei lager e lussuosi hotels, cibi raffinati e fame vera, successo e anonimato totale, premi partita favolosi e povertà assoluta, sono stati gli opposti che lo hanno visto comunque protagonista forgiandone il carattere e il fisico. Un fascio di muscoli con cui sperava di emulare Carnera e Bottecchia, vicini di casa, che hanno influenzato la sua mente di giovane sportivo. Una tempra d’acciaio, di friulano verace nato e costruito in una famiglia di estrazione contadina, che lo ha salvato anche davanti al plotone di esecuzione. Proprio la grinta e la determinazione gli hanno consentito di riconquistarsi il ruolo di campione quando il calcio ha ripreso slancio nel dopoguerra. Voglia assoluta di ricostruirsi fisicamente (nei lager aveva perso oltre 30 chili e il tono muscolare), di ritrovare sicurezza economica e ridare un senso alla vita sua e della famiglia che lo aveva pianto per morto.Sempre però con la massima discrezione e riservatezza perchè Pagotto non amava le luci della ribalta mediatica che per lui si accendevano comunque ogni domenica e che lo hanno portato tra i primi ad apparire sugli schermi della tv sperimentale, nel 1939 negli studi dell’EIAR a Roma.E infine la consapevolezza che il titolo pleonastico di campione dei campi di concentramento europei, conquistato con la squadra di «Quelli di Cernauti» tra le baracche di Sluzk, valeva più della Coppa dell’Esposizione che alzò al Parco dei Principi di Parigi.