Con un testo di Alex Zanotelli
L’itinerario proposto dal fotografo ci introduce in un contesto esistenziale difficile ma di estrema dignità ove lo sguardo non indugia mai nel pietismo ma si traduce in comprensione e condivisione.
Il bianco e nero, con arditi tagli, focalizza l’attenzione sui soggetti, li sceglie, li individua e li conosce nelle rughe, nelle pieghe delle mani, nelle vesti un po’ sgualcite.
Ci accompagna nelle loro giornate: dal lavoro che non fa distinzione tra adulti e bambini, per i quali tenere in mano un piccone e spaccare pietre a otto anni non è così strano; al pranzo fatto di erba bollita in una casa senza tetto. Ma vi è pure la scuola, una struttura di lamiera cocente, e il gioco improvvisato da un pneumatico o da una macchinina costruita con filo di ferro e lattine riciclate.
Molti dei bambini fotografati sono orfani: là dove non è l’aids è lo stupro ad abbandonarli. La condizione comune li porta ad essere tutti fratelli, ad essere una grande e solidale famiglia.
Negli scatti sussiste la povertà, ma non affiora. Esiste invece una cultura cosciente e orgogliosa della propria storia, sia essa zulu o shangan, che affianca al credo cattolico la tradizione dei Sagoma, interlocutori coi defunti, veggenti dell’anima.
Con queste fotografie ci è dato di accostarci con rispetto ad una realtà troppe volte liquidata in modo semplicistico e oleografico.
Alla fine del percorso ci si scopre paradossalmente in cammino, a fianco del fotografo.